IC Aldo Moro

Iniziativa promossa dal Comune di Abbiategrasso 5/8 AGOSTO 2021

Una rappresentanza di studenti delle scuole secondarie di I° grado e degli indirizzi degli istituti superiori ha visitato i luoghi dei campi di concentramento e di sterminio.

La nostra scuola è stata rappresentata dallo studente Davide Berretta e dal prof. Matteo Garzetti.

“Un progetto ambizioso, che finalmente si realizza” - affermano l’Assessore ai Servizi scolastici Eleonora Comelli ed il Sindaco Nai -. “Un'esperienza unica nel suo genere che permetterà a ciascun partecipante di avvicinarsi e di percepire l'orrore di ciò che è stato per trasformarlo in testimonianza attiva e stimolo a perseguire con impegno e tenacia. Un cambiamento nel modo di guardare le cose".


Riflessioni sul Viaggio della memoria, di DAVIDE BERRETTA - studente classe 3B sc. secondaria I Grado A. Vivaldi:

Qualche giorno fa sono stato in Polonia, precisamente a Cracovia, da cui ci siamo poi diretti verso la città di Oświęcim per visitare i luoghi rimasti nella storia, per i brutti avvenimenti lì avvenuti.  Dal momento in cui mi hanno avvisato che io sarei dovuto andare in questi luoghi, continuavo ad immaginare come potessero evolversi le mie emozioni alla visione così ravvicinata dei campi di concentramento. Finalmente, oggi, posso raccontarle. 

Appena varcata la porta d’ingresso per Auschwitz I, con la scritta: “ARBEIT MACHT FREI”, qualcosa dentro di me è cambiato, il modo di pensare in quel momento, le mie emozioni, sono sorte spontanee molte domande nella mia mente, ma una in particolare, mi è rimasta impressa: “Come siamo arrivati a tutto questo?”. Tutt’ora non riesco ancora a darmi una risposta. 

Quando siamo arrivati ad Auschwitz-Birkenau II tutto è cambiato, l’atmosfera era più cupa, triste, terrificante, rispetto al primo campo; perché Auschwitz I, dava, in un certo senso, più l’aria di un museo, ma comunque impressionante. Perché all’interno dei blocchi, gli oggetti, i reperti, non sembravano reali, pensavo fossero finti e, quando la guida raccontava la storia, sembrava quasi un film di fantascienza; perché non potevo immaginare fossero accadute davvero cose così orribili; ma, purtroppo son successe. Dobbiamo andare avanti, sperare nel futuro, ma non dimenticare. 

Però, appena ho visto dal finestrino dell’autobus il secondo campo, mi si è gelato il sangue per un momento. Già da subito ho capito che dovevo prepararmi a quello che stavo per vedere, e da fuori, si capiva già l’immensità del campo. Quando ho messo piede al di là del portone, sembrava di aver appena oltrepassato un portale, che conduceva ad un mondo diverso da quello esterno. Il campo, 30 volte più grande del primo, mi ha subito lasciato a bocca aperta. Dovunque guardassi vedevo dolore, odio, malinconia, sentivo le urla e  le grida di tutte le persone che soffrivano all’interno di esso. Certe volte cercavo di immaginarmi le persone davanti ai miei occhi, ma non riuscivo mai, perché era impossibile immaginarlo, solo chi ha vissuto sulla propria pelle questi momenti poteva veramente capire. 

Mentre percorrevamo i sentieri, le vie, cercavo di evitare le varie pozzanghere di fango che ostacolavano il percorso, e durante quei momenti mi sentivo un po’ in colpa, perchè pensavo che gli ebrei dovevano sempre incappare in queste situazioni o peggiori, quindi dentro di me dicevo: “Davvero mi sto lamentando o preoccupando per queste sciocchezze?”

A volte mi era anche venuto in mente di togliermi le scarpe e camminare scalzo, per capire veramente cosa si poteva provare e per capire almeno un pochino alcune delle loro sofferenze. 

Una delle cose che mi ha colpito di più è stata la zona degli spogliatoi e delle camere a gas, perchè pensavo a come si potessero sentire le persone che si spogliavano, e nel mentre, nella stanza affianco, c’erano persone che soffrivano lentamente fino a morire. Immaginavo le persone nello spogliatoio, affrante, senza speranza, che sapevano già a cosa stavano andando incontro, che non avevano più via di scampo, immaginando di quale atrocità sarebbero morti; aspettando che alla fine la morte facesse il suo corso. 

Quando giravamo nei campi vedevo sempre il verde nel terreno e, quando lo fissavo, pensavo che poteva significare quasi come una nuova rinascita, nella quale non riaccadrà più quello che è successo.

Ma continuando a ricordare, senza dimenticarlo.



Andare e tornare da Auschwitz, di MATTEO GARZETTI - docente di materia letterarie sc. secondaria I grado A. Vivaldi

Prepararsi ad un viaggio ad Auschwitz è insieme del tutto impossibile ed il lavoro di una vita. Allo stesso modo condividere una riflessione mette in imbarazzo: o è troppo modesta, o non basta lo spazio.

Quando nel secondo giorno abbiamo attraversato il quartiere Kazimierz di Cracovia, le molte e antiche sinagoghe stavano come conchiglie vuote. La vita che le aveva costruite e abitate è persa per sempre, e la città fatica a trovare una destinazione per quei luoghi.

Prima di Auschwitz sei cracoviani su dieci erano ebrei. Oggi non se ne contano più di 700 in tutta la città.

Nascere dopo Auschwitz non è una nostra scelta, avremmo volentieri fatto a meno. Eppure ci è capitato, e sta a noi farne responsabilità. Compito.

Mi pare di aver visto tre insidie, per noi che siamo andati: professori, artisti, e alunni.

La prima è di non riuscire a stare in silenzio: come un'urgenza di commentare subito per riempire il vuoto conseguente la visita. Spiegazioni, ipotesi, dibattiti ideologici, riflessioni sulle proprie emozioni, contestualizzazioni storiche, immedesimazioni…

Tutte cose che ci rendono umani, senza dubbio: e in fondo restare umani è il primo compito che Auschwitz ci impone.

Ma non riuscire a tacere forse porta con sé il rischio di "consumare Auschwitz", come qualsiasi altro viaggio o esperienza.

Primo compito: tacere.

La seconda insidia è quella di usare Auschwitz per commuoverci.

Ancora una volta: tacere e piangere è verosimilmente la prima cosa da fare, ma essere così attenti alle proprie emozioni e alla catàrsi che la loro espressione produce mi sembra faccia perdere la profondità dell'abisso che ci separa da quell'esperienza, e nello stesso tempo l'incredibile rivelazione di umanità che essa dà. Per quanto possiamo purificare le nostre menti, i carnefici erano nostri fratelli: umani, non demoni. Noi siamo come loro.

La nostra violenza, la nostra umanità violenta non può pensarsi vaccinata contro la tragedia ad opera di Auschwitz. Da qui il secondo compito: la vigilanza. Dobbiamo vigilare per non essere violenti: nelle nostre aule, nelle nostre case, nei nostri ospedali, nelle nostre città, nelle nostre carceri, nelle nostre parole, nelle nostre interpretazioni del mondo, nei nostri progetti.

Allontanarci dalla violenza, e, di fronte alla violenza, agire protezione.

La terza insidia è quella di non cogliere il dato universale del mònito di Primo Levi. "Potrà ancora succedere": nel mondo, non per forza nello stesso modo e in Europa.

E da qui nasce il compito più impegnativo, che è quello di guardare in faccia, riconoscere, e chiamare con il proprio nome i luoghi nei quali gli stessi metodi - perfezionati - e la stessa violenza, oggi, viene agita.

E, con tutta la nostra forza, agire protezione e smantellare sistemi di morte.

Così da tre insidie nascono tre compiti. 

Perché Auschwitz smetta di succedere.